Toc-toc.
“Vattene, non ti voglio vedere”.
“Per favore Sara, fammi entrare…ho un po’ esagerato, ma credimi, non è facile”.
“E credi che per me lo sia? Credi che per un’adolescente vegana, lesbica e senza una madre sia facile stare al mondo?”
“Hai ragione. Hai ragione su tutta la linea Sara. Le tue parole sono taglienti come i coltelli che uso in pizzeria, ma mi hanno fatto capire quanto male devi provare e soprattutto quanto tu sia cresciuta troppo velocemente in così poco tempo, nonostante la mia assenza, nonostante l’assenza di…tua madre”.
Silenzio.
“Io…tu non sai quante volte ho pregato che la malattia prendeva me al suo posto. Io ci penso tutti i santi giorni, sai? Sarebbe stata un genitore mille volte migliore di me, anzi, lo è stata. Devo farti vedere una cosa, mi apri per favore?”
“Che cos’è quella scatola?”
“Qui dentro c’è una cosa che realizzava tua madre che ancora era incinta di te. Diceva sempre «sento che avrà gli occhi azzurri come la nonna» e ci aveva preso. Ci prendeva sempre, lei. Ha fatto questo bellissimo vestito azzurro con le sue mani, con quel po’ di tempo libero che le rimaneva tra la consegna di una giacca e un’altra, lavorava anche al nono mese, pensa…”
“È…è bellissimo. Ma papà, perché me l’hai tenuto nascosto tutto questo tempo? Vedi, è per cose come questa che proprio non ti capisco”.
“Lo so, ma fammi spiegare. Mi aveva fatto promettere di non dartelo prima dei tuoi diciotto anni. Ci teneva tantissimo a farti avere qualcosa fatto con le sue mani in una giornata in cui forse sentivi la sua assenza un po’ di più”.
“Papà, io sento sempre la sua assenza un po’ di più. Penso costantemente a lei, a cosa avrebbe detto o fatto in questa o in quell’altra situazione, che regalo dovrei fare a Katia per il primo anniversario, ad esempio, se il vestito che ho comprato va bene per la serata di gala o cosa dovrei fare quando concluderò il liceo…mi sento persa senza di lei”.
“Ti capisco…io ancora non so distinguere la funzione capi chiari e capi scuri sulla lavatrice. Tu…tu invece non hai la minima idea di quanto sei uguale a lei, di quanto sei forte. Probabilmente anche lei mi faceva una sfuriata come quella di poco fa…ma voglio rimediare”.
“E come?”
“Prendi pure questo vestito, usalo per la serata e restituisci l’altro, oppure usa quello che hai comprato e tienili entrambi, non importa: non sono bravo a fare il padre e l’abbiamo capito, ma voglio starti accanto mentre cresci, mentre ti tormenti per la scelta di un vestito o di un regalo, mentre piangi se qualcuno ti fa soffrire, mentre ridi se una battuta ti fa ridere. Lo so che sono solo un pizzaiolo senza istruzione ed è per quello che mi sono infuriato prima, hai ragione a pensare che sono un grandissimo ignorante. Un ignorante che ti ama di bene però. Ti amo più della mia stessa vita, figlia mia”.
“Grazie…papà…non so che dire…”
“Non dire niente…andiamoci a prendere quel gelato…alla frutta magari?”
*
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